L’Agenda digitale di Monti
Il Decreto Semplificazioni contiene molte novità in tema di e-gov ma forse quella per noi più interessante è contenuta nell’art. 49, intitolato “Agenda digitale italiana”.
Quattro i punti che vengono affrontati :
- Banda larga e ultra larga: Ancora oggi, il 5,6 % della popolazione, pari a 3,5 milioni di italiani si trovano in condizione di deficit digitale e più di 3000 località hanno problemi infrastrutturali che rendono più complessa la vita dei cittadini.
- Open Data: ossia la diffusione in rete dei dati in possesso delle amministrazioni, nell’ottica della totale trasparenza.
- Cloud: utilizzo del cloud computing, ovvero la dematerializzazione e condivisione dei dati e delle infrastrutture tra le pubbliche amministrazioni.
- Smart Communities: la spinta alle aziende pubbliche a tuffarsi nei social network, gli spazi virtuali in cui i cittadini possono scambiare opinioni e stimolare soluzioni condivise.
Sono argomenti già trattati (da questo elenco manca il tema dell’Open Source già compreso nella manovra di dicembre con l’obbligo per la pa a considerare sempre l’adozione di soluzioni basate su Open Source) ma è su un paio di punti che vorrei richiamare l’attenzione:
il primo è quello in cui si sancisce chiaramente che tra gli obiettivi dell’Agenda, c’è la “promozione della diffusione di architetture di cloud computing per le attività e i servizi delle pubbliche amministrazioni”.
L’intenzione è ovviamente quella di semplificare ma anche di alleggerire e de materializzare il più possibile.
Si parla addirittura dell’idea di creare dei datacenter cloud-enabled pubblici dai quali erogare servizi alla PA a livello centralizzato (soprattutto per le Regioni). Quello che mi domando, con un po’ di disincanto e senza molte illusioni, è se finalmente i Sistemi Informativi delle PA riusciranno davvero a rifondarsi con un profilo più service oriented, con una capacità di gestione più evoluta verso la Governance. Riusciranno a mettere da parte il protagonismo tecnologico, quella creatività architetturale sempre così drammaticamente originale da aver reso altissimi i costi di sviluppo e di gestione e ancora più costosi tutti i tentativi di integrazione e interoperabilità? Leggi il seguito di questo post »
Processo all’OpenGov: dalle parole ai fatti?
Vorrei segnalarvi un evento di sicuro interesse nell’ambito della Social Media Week romana. Il tema è quello dell’Open Gov. e si svolgerà il 10 Febbraio, presso la Sala Degli Specchi di Palazzo Giannelli, dalle 10.00 alle 12.00. Si tratta di un incontro/dibattito dal titolo “Processo all’OpenGov: dalle parole ai fatti?“, nel corso del quale si farà il punto su questa importante tematica grazie ad un confronto tra Istituzioni e mondo economico.
L’incontro, organizzato dall’Associazione Italiana per l’Open Government, vedrà la partecipazione di alcuni tra i più importanti esperti nazionali, oltre ai rappresentati del mondo istituzionale ed economico.
In molti paesi con una tradizione di E-Gov più consolidata, i cittadini hanno già accesso a molti dati pubblici. Da quei dati, ora che possediamo strumenti in grado di interpretarli e metterli in relazione, discende una nuova forma di cittadinanza e di democrazia e la creazione di nuovi mercati.
Un numero crescente di governi sta comprendendo le opportunità di far leva sull’innovazione e sulla diffusione delle informazioni e della conoscenza, approfittando proprio della crisi economica globale.
L’Italia non rientra ancora tra i Paesi che hanno impostato una strategia unitaria e sistematica in materia di Open Gov, sicuramente a causa di difficoltà di ordine normativo (anche il nuovo CAD è piuttosto carente in merito), ma anche per resistenze culturali.
Nel corso dell’incontro, che vedrà la partecipazione di autorevoli esponenti delle istituzioni, saranno affrontate le cause che frenano l’adozione di politiche Open nel nostro Paese e si proverà a proporre soluzioni operative per passare, appunto, dalle parole ai fatti.
Tra i relatori che hanno già confermato la loro adesione:
· Ernesto Belisario, Presidente Associazione Italiana per l’Open Government
· Stefano Costa, Coordinatore di Open Knowledge Foundation Italia
· Davide Giacalone, Presidente Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’Innovazione
· Monica Lucarelli, Presidente Giovani Industriali di Roma
· Carlo Mochi Sismondi, Presidente ForumPA
· Guido Scorza, Presidente dell’Istituto per le Politiche sull’Innovazione
· Stefano Epifani, Direttore Associazione Italiana per l’Open Government
L’incontro sarà moderato da Alessio Jacona. Per favorire il dibattito ampio spazio sarà dato agli interventi dal pubblico.
Il Manifesto per l’Open Government
Riporto il contributo per Saperi PA di Stefano Epifani dedicato alla presentazione del Manifesto per l’Open Government. Credo che in questa fase di ridisegno del nuovo CAD e di forti evoluzioni nei servizi di cooperazione applicativa, di tentativi spesso maldestri di integrazione dei servizi della PA, sia un’ottima introduzione al tema dell’Open Governemnt. Il tema è stato trattato nel convegno appena svolto il 30 Novembre presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza (Roma) durante il quale è stato presentato il Manifesto, nella sua forma definitiva e dopo un importante periodo di condivisione e partecipazione, come primo punto di partenza per promuovere la cultura dell’Open Government nel nostro Paese. (Pietro Monti)
Non è un obiettivo facile da raggiungere, quello che si pone l’Associazione Italiana per l’Open Government. Cercare di contribuire alla creazione di una cultura orientata all’apertura, alla condivisione ed alla partecipazione nella pubblica amministrazione italiana, infatti, vuol dire vedersela con una vera e propria selva di leggi, impedimenti, ostacoli normativi e più spesso culturali che non rendono certo semplice il percorso. Soprattutto quando il vero cardine del cambiamento che si vuole promuovere consiste in un processo di innovazione sociale che vede pubblica amministrazione, cittadini ed imprese protagonisti di un sistema che può funzionare soltanto quando tutti i soggetti coinvolti divengono realmente attori partecipi attivamente (e proattivamente) in un modello di costruzione condivisa del cambiamento.
Per questo motivo la prima azione pubblica dell’Associazione è stata quella di promuovere la creazione di un Manifesto per l’Open Government. Un Manifesto che contribuisse ad identificare i contorni di un concetto, di un’idea, di un modello di sviluppo per la società civile del quale troppo spesso si parla in astratto. Muoversi verso una politica di sensibilizzazione verso il tema dell’Open Government, invece, vuol dire identificarne la fisionomia, tracciarne i principi chiave, rilevarne la natura profonda, così da costruire quelle azioni volte a promuoverne lo sviluppo.
Per questo motivo la costruzione del Manifesto non poteva che essere partecipata, per farsi forte di quell’intelligenza collettiva che è la vera risorsa della Rete. Ecco quindi che i dieci principi chiave proposti dai promotori sono stati messi in discussione per due settimane in Rete. Ed ecco che la Rete, ancora una volta, ha dimostrato la sua forza. Sono stati diverse centinaia i commenti lasciati sul sito, le mail giunte all’Associazione, le riflessioni condivise attraverso Facebook e Twitter riguardanti i diversi articoli del Manifesto.
Commenti sempre puntuali, mai generici, comunque costruttivi, che hanno consentito l’avvio di un complesso lavoro di riorganizzazione del Manifesto che vedrà luce – in una sua forma definitiva – nel corso del Convegno organizzato alla Sapienza in occasione della giornata dell’IGF Italia. In piena logica “open”, quindi, il Manifesto che verrà presentato – a partire dagli articoli proposti on-line ed in base alle considerazioni emerse in rete – rappresenterà il risultato di un lavoro partecipato e condiviso da quella comunità della Rete fatta di esperti, professionisti, funzionari pubblici e privati, docenti universitari che si occupano, a vario titolo, di questo tema.
Lo sviluppo del software secondo un approccio collaborativo
Ferdinando Gorga (linkedin)
Ciascuno di noi è cosciente di come la disponibilità di Internet e della sua architettura ha modificato sostanzialmente e, si spera definitivamente, il modo di utilizzare i computer e l’informatica. Nel corso degli ultimi quindici anni le aziende innovative hanno progressivamente adottato questa novità tecnologica, sfruttando la possibilità di veicolare facilmente informazioni e flussi di denaro per le esigenze di un business sempre più dinamico.
Oggi è difficile immaginare che qualcuno di noi, possessori di PC o notebook, non si connetta in qualche modo ad Internet; lo facciamo sempre più numerosi, anche con dispositivi nuovi come i nostri smartphone, per accedere ai servizi di posta elettronica e di messaggistica, o ai servizi offerti nelle modalità innovative del Web 2.0 e del Social Networking. Lo facciamo sempre di più in tempo reale, in ogni momento della giornata, anche quando siamo lontani dalla nostra scrivania: Internet e i suoi servizi sono diventati ‘tascabili’.
Se Internet ha così radicalmente cambiato la concezione, l’approccio e l’utilizzo dell’informatica, è possibile ipotizzare un cambiamento altrettanto epocale, derivante dalle stesse tecnologie, anche nel settore dello Sviluppo del Software?
La risposta a questa domanda è assolutamente positiva se pensiamo alla tecnologia attuale e alla disponibilità commerciale di soluzioni adatte. Purtroppo invece è fatalmente negativa se pensiamo alla consuetudine operativa e alle prassi vigenti in un gran numero di progetti di sviluppo software. Leggi il seguito di questo post »
Frontend senza backend ….
Ieri ho partecipato ad un evento organizzato dal Ministro Brunetta in cui è stato presentato il nuovo portale “Vivi facile”, un portale per facilitare l’accesso dei cittadini e delle aziende ai servizi in rete offerti dalla PA. Particolare enfasi è stata posta dal Ministro sull’uso diffuso degli SMS (attraverso i canali ussd) come sistema di informazione puntuale in un’ottica di “convergenza di tutti gli strumenti di dialogo e di comunicazione tra Pa e privati cittadini“. Come non essere d’accordo?
Ovviamente una visione del genere (quanti portali unici abbiamo visto in questi anni??) può avere successo solo se quello che sta “dietro le quinte” è fortemente e strutturalmente integrato, sennò ….. rischia di essere il solito portale web di smistamento o poco più ….
Ho provato a chiedere al Ministro se con il “nuovo CAD” si poteva sperare in una struttura più efficace per far rispettare le regole di standardizzazione e di integrazione. La risposta è stata , più o meno, che ….. dalla sua faccia si vede che non ha letto il nuovo CAD e quindi …… ho provato a dirgli che l’avevo letto, eccome! (quel poco che è stato pubblicato), ma non c’è stato niente da fare, è partito con la sua idea che provo a riassumere così: è necessario far “salire la domanda” così da spingere le amministrazioni ad integrarsi, a diventare virtuose, insomma “costringerle” all’efficienza dalle richieste di servizi dei cittadini.
In un “paese normale” sarebbe un approccio un po’ assurdo e illogico. Ma qui da noi, dopo tanti anni di CAD e di SPC, con le loro “regole” quasi mai rispettate, con le integrazioni tra i Sistemi Informativi della PA che stentano ancora a decollare, mi viene il dubbio che il Ministro con il suo pragmatismo potrebbe anche avere ragione.
Il dubbio però sparisce quasi subito, mi basta ripercorrere i grandi progetti di “integrazione” della PA di questi anni, caratterizzati troppo spesso da “trasferimenti massivi via FTP”, nastri magnetici che viaggiavano per corriere da un CED ad un altro, costose linee dedicate, doppie e triple autenticazioni ed infine il termine più abusato e oscuro: l’accesso alle banche dati! Insomma tutto tranne che una vera integrazione di processi attraverso la cooperazione applicativa.
No, non cambio opinione e continuo a preferire la strada del “paese normale” dove le regole, anche quelle tecniche, dovrebbero essere rispettare. Speriamo che il “nuovo CAD” sia più attrezzato e vincolante del precedente e non si limiti al solito elenco di sogni ma sappia risolvere i nodi di una standardizzazione strutturale così da evitare di dover ricorrere alle solite operazioni di “frontend senza backend” come rischia di essere questo simpatico ma ennesimo “portale unico”.
ps
Se vuoi vedere qualche commento in rete sul nuovo CAD dai una letta qui (Innovatori) ed anche qui (Punto Informatico)
La banda larga non è un vezzo tecnologico
Sembrava strano ma vero, il ministro Renato Brunetta solo pochi giorni fa aveva promesso banda larga per tutti, da 2 a 20Mb entro il 2010 ma ora le dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta sullo stesso argomento, hanno spento le aspettative.
Gli 800 milioni (poco più della metà di quelli stanziati!) che da luglio attendevano il via libera dal Cipe sono stati “congelati” dal governo: «la crisi – ha spiegato Letta – ha cambiato l’ordine delle priorità dell’esecutivo». «L’occupazione – ha precisato Letta – è la nostra principale preoccupazione. Una volta usciti dalla crisi si potrà riprendere l’ordine della priorità, e la prima sarà la banda larga».
Come si può non capire che la crisi si supera proprio con l’innovazione? Che la banda larga non è un semplice internet più veloce, non è un vezzo tecnologico ma è un volano strategico per la crescita del paese? Non solo per il digital divide ma per creare opportunità e sviluppo economico e quindi occupazione di qualità.
Da una ricerca dell’osservatorio Between (http://www.osservatoriobandalarga.it/ ) risulta che il 50% degli italiani non ha mai messo mano ad un computer, l’80% è senza banda larga e l’infrastruttura portante non regge più il crescente carico di dati. La velocità reale delle attuali connessioni cosiddette veloci è meno della metà di quella promessa dagli operatori e la Fondazione Ugo Bordoni (http://www.fub.it/) svilupperà un software per consentire a ciascun utente di testare la propria connessione e i dati saranno “pubblici” .
Che la banda larga porti sviluppo l’hanno capito tutti. La UE ha stimato quest’anno che la banda alrga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 ed una crescita dell’economia europea di 850 miliardi di euro. Le aziende diventano più competitive perchè riescono a lavorare più rapidamente, i costi di viaggi e trasporti diminuiscono, scendono le spese della PA e aumenta il risparmio energetico (fonte L’Espresso).
La differenza di atteggiamento con gli altri Paesi europei, dove ci sono da anni piani nazionali per portare banda larghissima a 50-100 Megabit , è abissale: al 75% delle case entro il 2014 in Germania; a 4 milioni di case nel 2012 in Francia (che investirà 10 miliardi di euro cioè circa 10 volte tanto quello che prevedeva il nostro minipiano). Per la stessa ragione, la crisi, per cui l’Europa spinge i governi ad investire nella banda larga, in Italia si fa l’opposto, si congelano i soldi (neanche si dirottano!) per quando potremo permettercelo.
Purtroppo lo scenario nazionale è sconfortante: guerra alla tv satellitare, nessun investimento nelle infrastrutture di rete, anatemi contro i social network. La miopia di non cogliere il valore della rete in termini di sviluppo è stato sempre un fattore comune ai diversi governi che si sono succeduti. Ma ora la sensazione è proprio quella che siamo condannati a concepire l’innovazione e la crescita di questo paese solo come un fatto televisivo ed apapre quindi normale che tutti gli sforzi vadano nello switch-off del digitale terrestre.