sabato 15 maggio 2010

Lecce Cesena: dov'è la festa?

di Vittorio Murra

Il calcio è anche questo: una festa per i 30.000 intrusi che affollavano selvaggiamente i seggiolini del via del Mare, ed una sofferenza per i soliti 5.000 che hanno dovuto sopportare la seccatura dei nuovi arrivati e la batosta della doppietta di Malonga, il bomber ribelle.
Il gol di Munari scatena gli entusiasmi di chi, solo due sabati prima, aveva vissuto il relax della spiaggia di Gallipoli o Porto Cesareo, ignorando del tutto che a due passi dal mare la squadra che, forse, l’anno prossimo porterà nel Salento le strisciate, stava giocandosi il campionato contro l’Albinoleffe.
Parte subito l’onda del via del Mare dal minuto 7 del primo tempo fino al minuto 80. Un’onda di esaltazione, forse, di passione, chissà, di tifo verace, si dubita. È solo il clima della festa prima del tradizionale bagno nella fontana e dei riti celebrativi nell’anfiteatro. Uno squallore abnorme che fa da scenario ad una trama da incubo.
Il Lecce non va in serie A, festa rimandata e tutti a casa, in silenzio. Nessun coro, nessun applauso dopo la doppietta del bomber scuro. Scuro oppure oscuro, il gioco di parole è semplice, come la doppietta rifilata dall’attaccante ai giallorossi. Cupa perché lascia con l’amaro in bocca pochi dei 35.000 che affollavano gli spalti, ma anche le scale, le inferriate, le vie d’uscita. Quando è festa, è festa. Cupa perché lascia l’alone del sospetto. Cosa è successo dopo il gol del pareggio fra i giocatori in campo? Cosa si sono detti Fabiano e Malonga nel duro faccia a faccia dopo il tentativo di quest’ultimo di infilare il lato sinistro di Rosati? Tutti interrogativi senza risposta. E senza risposta rimarrà probabilmente l’immagine di un Piangerelli che si dimena per indicare a Bergonzi il fallo di mano del suo compagno che, al 93esimo, nega la gioia del gol a Marilungo. Dove corre Vives a fine gara inseguito da De Canio non si sa. Malonga come Bastian Tuta? Non si sa. Di certo, la festa, l’ha rovinata.

lunedì 19 aprile 2010

Brescia bestia nera!

di Matteo Marchello


Il racconto di Lecce-Brescia è la storia della squadra prima in classifica che viene fischiata dal proprio pubblico a fine partita dopo aver pareggiato contro la seconda.
Questo atteggiamento dei tifosi, tanto paradossale da rischiare di essere archiviato alla voce ingratitudine, trova, in questo caso, spiegazione razionale e condivisibile.
La partita iniziava, infatti, con l'uno-due micidiale di Marilungo e Corvia che portava i giallorossi sul 2-0 all'ottavo minuto; chi guardava la partita sentiva la voce dell'arbitro di tennis che chiamava il famoso “game, set and match”, ovvero gioco, partita e incontro, che traslato dal mondo delle racchette poteva dire solamente una cosa: Serie A.
I salentini, infatti, giocavano sul velluto, sfiorando due occasioni clamorose ancora con Corvia e Marilungo, e la partita rimaneva sullo stesso risultato, con la convinzione di avere la partita in pugno, con i centrocampisti giallorossi saldamente in possesso delle chiavi della linea mediana del campo, Mesbah, schierato terzino dall'allenatore De Canio, e Angelo padroni delle fasce di competenza, e con i due autori dei gol che sembravano aver trovato il modo di sfuggire alla marcatura dei centrali di difesa bresciani, Di Michele, invece, lasciava intuire da subito di non essere in giornata, la sua fumosità lo avrebbe accompagnato per tutta la partita.
Alla mezz'ora l'impensabile svolta: un'uscita non impeccabile di Rosati – autore per il resto di un match senza sbavature – regalava, infatti, a Baiocco la possibilità di crossare per Taddei che, lasciato incomprensibilmente solo dalla retroguardia leccese, insaccava di testa a pochi passi dalla linea di porta.
Questo episodio, che sembrava francamente piovuto dal cielo, ridava convinzione agli ospiti che interpretavano i restanti 15 minuti del primo tempo con ritrovata tenacia rispetto all'approccio morbido – per usare un eufemismo – con il quale erano entrati in campo, e, dopo un forcing serrato, trovavano il pareggio con una pregevole azione personale di Possanzini, che segnava con un preciso destro a giro dal limite dell'area.
Il secondo tempo iniziava senza cambi con le due squadre che attaccavano a fasi alterne piuttosto blandamente, facendo intendere che accontentarsi di un punto era più saggio di rischiare di non prenderne nessuno; il risultato di questa mentalità era che Angelo rischiava di segnare il gol del vantaggio e il Brescia ci riusciva, ma il guardalinee sbandierava un fuorigioco dubbio, inducendo il direttore di gara ad annullare la rete.
La partita scivolava via senza nessun altro sussulto, lasciando in bocca ai salentini il gusto amaro dei due punti persi dopo la partenza in quarta, e ai lombardi quello dei rimpianti per il gol annullato, forse, ingiustamente.
Quando l'arbitro sanciva la fine del match imperversavano i fischi del pubblico che rimproveravano i giocatori di non averci messo la convinzione necessaria per vincere la partita anche nel secondo tempo, atteggiamento che, tuttavia, può essere anche spiegato da una condizione fisica non ottimale dopo una stagione lunga ed estenuante.
Tuttavia De Canio, seppur bravissimo fino ad ora, non è esente da colpe, non si capisce, infatti, perché abbia tenuto in campo Di Michele sebbene non sia mai stato decisivo, e abbia perso un numero esorbitante di palloni in dribbling pretenziosi per tutta la partita; tra i meriti del mister, invece, quello di aver mandato in campo una squadra molto offensiva, con Mesbah e tre attaccanti in campo dal primo minuto, per cercare di giungere al vantaggio prima possibile, evidenziando, tuttavia, la macchia di non esser riuscito a disporre la squadra per mantenerlo fino al novantacinquesimo.
Quando mancano cinque turni alla fine del campionato, l'allenatore materano ha il difficile compito di mantenere alta la concentrazione dei suoi giocatori, finora nulla è stato ancora conquistato e dilapidare il vantaggio faticosamente accumulato sarebbe un peccato capitale che nel Salento nessuno si auspica.

sabato 3 aprile 2010

Lo zingaro felice

Cliccate sul titolo, ne vedrete delle belle. Daje MIRKOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!

giovedì 1 aprile 2010

Calcola il tuo rush finale !!!

Provate ad immaginare come sarà a fine campionato, clikkate sul titolo.

sabato 20 marzo 2010

Lecce, a Reggio la rinascita

di Matteo Marchello

Venerdì sera allo stadio Granillo di Reggio Calabria in tabellone era previsto l'anticipo di serie B tra la squadra di casa, la Reggina, ed il Lecce. In realtà quello a cui gli spettatori hanno assistito non è stata una partita di calcio, ma lo spettacolo teatrale “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”: il celebre romanzo di Stevenson in cui il mite dottore che di giorno esercita la sua professione e di notte diventa un feroce assassino che terrorizza la città di Londra. Nel romanzo la mutazione avviene a seguito dell'assunzione di una pozione magica, realizzata dallo stesso dottore per acquisire maggior carattere e personalità, di cui sente la mancanza nella sua vita ordinaria e monotona; la mutazione giallorossa avviene, invece, tra primo e secondo tempo, grazie ai correttivi di De Canio, stufo di vedere il solito Lecce che nelle ultime 6 partite prima di Reggio aveva raccolto 1 vittoria 4 pareggi e l'umiliante sconfitta interna con in Cittadella.
Il Lecce iniziava la partita, infatti, con una formazione schierata con un modulo diverso dal 4-3-3 che ha fatto le fortune di questa stagione, ovvero un 4-4-2 più quadrato, con Belleri e Mazzotta terzini, Angelo e Mesbah ali di centrocampo, e la coppia d'attacco composta da Baclet e Marilungo; questa sperimentazione non dava i frutti sperati, tanto che era la Reggina a rendersi più pericolosa dopo il calcio d'inizio con 2 conclusioni prima di arrivare al gol con Barillà; il Lecce vedeva i fantasmi delle ultime prestazioni e non riusciva a reagire in nessun modo.
Il primo tempo finiva con il cambio di Mazzotta per Munari senza nemmeno aspettare l'intervallo, episodio che assomigliava tanto a una bocciatura tanto per l'esterno palermitano quanto per il nuovo modulo, incapace di dare la giusta scossa alla squadra.
Il ritorno al 4-3-3 e la sicura strigliata di De Canio negli spogliatoi trasformavano la docile squadra salentina in un'altra completamente diversa: cattiva e affamata di punti, la cui essenza si incarnava in Guido Marilungo, autore di una tripletta, che insieme al gol del sorpasso di Angelo, e a quello, inutile, di Cacia, chiudeva la partita sul 4 a 2 finale.
Il Lecce visto in Calabria nel primo tempo è sembrato una squadra convalescente, che aveva sul corpo ancora le cicatrici della batosta con il Cittadella, dimostrando di essere incapace ad attaccare ed essere pericolosa,tanto da non aver mai tirato in porta; nella seconda frazione, invece, è scesa in campo la squadra schiaccia-sassi della parte centrale del campionato, capace di creare bel gioco, segnare 4 gol mostrando una superiorità manifesta nei confronti di una Reggina che, ignara della metamorfosi giallorossa avvenuta negli spogliatoi, è stata annichilita più che sconfitta, ed ora vede lo spettro della retrocessione in prima divisione.
Malgrado il risultato e la dimostrazione di forza dei secondi 45 minuti, De Canio deve, tuttavia, interrogarsi sulle motivazione dell'approccio da incubo alla partita, e sull'opportunità di sperimentare nuove soluzioni tattiche allorquando è stato appurato che il 4-3-3 è il modulo migliore per gioco espresso e punti conquistati, e sebbene il campionato sia ancora molto lungo, un eventuale ulteriore cambio di modulo potrebbe costare punti pesanti, fondamentali per l'obiettivo promozione.

martedì 16 marzo 2010

Lecce - Cittadella: colpa di chi?

di Vittorio Murra

La cittadella del gol verrebbe da dire, reti confezionate ad arte per una squadra che - prima della gara di Lecce - guardava i sei punti che la separavano dalla lega pro, e che oggi guarda invece ai sette che la distanziano proprio dalla capolista.
I giallorossi si affacciavano al match coi veneti pregustando un piatto al sapore di "vendetta", con i salentini feriti nell’orgoglio per il 3-0 subito all’andata: un risultato netto, che - come oggi - aveva imposto uno stop dopo gli undici punti conquistati. Stop che poi ha permesso alla squadra di De Canio di dare una svolta alla classifica e alla stagione, ridimensionando in lungo e largo obiettivi e pretese. Oggi, di positivo dopo i cinque gol incassati dalla squadra di Foscarini, ci sono gli stessi undici punti del ritorno. Preludio, forse, di altri cambiamenti ed altri obiettivi da raggiungere. Magari sempre gli stessi, magari quelli previsti ad agosto, quando la calura imponeva di tenere ben saldi i piedi nell’acqua per placare i bollenti spiriti di una retrocessione amara e di un avvenire dal basso profilo.
Mister De Canio ha tirato fuori da quel 3 ottobre 2009 tutti i conigli dal cilindro, spedendo in orbita una squadra dalle potenzialità dubbie e dalla concentrazione instabile. La continuità dei risultati, e la poca propensione alla sconfitta – sono solo sei le gare senza punti dei giallorossi, meglio ha fatto solo il grosseto con cinque – hanno reso i giallorossi come quel coltello che quando entra lacera e quando esce strappa. Ed il Lecce, affondando la lama, ha lacerato una serie B che ai nastri di partenza lo vedeva sofferente, ma poi al primo cedimento delle forze la lama esce e strappa l’ambiente illuso, forse, da un primato conquistato solo dalla saggezza dell’allenatore. Allenatore che nel perdere malamente una gara, nella quale tutti si aspettavano la rottura dell’incantesimo del pareggio, decide di addossare su di sé tutte le colpe, fungendo da parafulmine in un campo di pali.
Colpa mia, dice De Canio, perché ho mandato in campo quella formazione, quei calciatori con quel modulo. Colpa di tutti allora, se i criteri di scelta sono sempre basati sulla meritocrazia, sunto di una serie di comportamenti settimanali di atleti non ancora uomini né calciatori, evidentemente. Colpa di tutti, perché chiunque, con un po' di professionalità avrebbe messo in campo gli stessi undici, meritevoli forse di giocare, non di subire una così netta umiliazione. O forse si.
Il problema non si focalizza più sulle caratteristiche dei calciatori in rosa, dove - ad esempio - il mancato pressing e la poca dimestichezza nel fraseggio in velocità si spiegano solo col fatto che non sono queste le qualità della rosa a disposizione. L'obiettivo deve essere centrato, quindi, sulla testa o nella testa: quando non si raddoppia la marcatura, quando il compagno non aiuta più quello in difficoltà, non recupera dopo un suo intervento sbagliato, quando la squadra non riesce ad essere corta ed una volta pressata ricorre al lancio lungo, evidentemente qualcosa non va. Manca di tranquillità, di personalità e probabilmente di una paternale da parte di chi ogni giorno gli dà da mangiare.

martedì 2 marzo 2010

C'è un Mister X e non è De Canio


L’avremmo voluto definire l’uomo nero, ma la tendenza del momento impone di chiamarlo Mister X, che non è mister pareggio, il riferimento non va a De Canio, ma vuole essere un nomignolo che vuol racchiudere al suo interno una persona, forse più di una, un concetto, un modo di essere, una lobby che cerca in tutti i modi di svalutare il lavoro svolto con profitto dal mister, inteso questa volta come l’allenatore.
Sono le sirene d’allarme che ci impongono di porre l’accento su di una situazione che evidentemente ha toccato il punto più alto della sua criticità. Il botta e risposta fra il presidente Semeraro e l’allenatore De Canio che se le mandano a dire attraverso la carta dei giornali, le dichiarazioni rilasciate in tv dal giornalista Stefano Meo, ed una serie di odori nell’aria che si diffondono dopo ogni punto perso dalla squadra, persino, in maniera più leggera, dopo ogni vittoria, per quanto roboante.
Una situazione paradossale, che probabilmente non trova una logica spiegazione, per lo meno non nella logica dello sport, unita sia pure a quella degli affari che con esso convivono nell’assurdo mondo del pallone.
Cosa deve fare un allenatore per entrare nelle grazie di una Società se non dominare un campionato, e magari farlo dopo una spesa di appena un milione di euro? Forse De Canio dovrebbe imparare dai maestri delle promozioni, da chi ha l’arte nelle mani e il vuoto nei portafogli. Da chi compra facile e lascia la mancia, e da chi vince a stento il campionato occupato com’era a scriversi il prolungamento del contratto.
Sono strani giochi di potere che giovano a pochi, e che confondono le idee a tutti gli altri. Uno strano mondo quello del calcio, dove la società non difende mai il proprio allenatore, o meglio non difende questo allenatore. Nessun gabbiotto per lui. Nessuna difesa precostituita, ma nemmeno guadagnata. Come se De Canio non fosse una scelta voluta, come se De Canio fosse un bastone raccolto per strada dai raggi di una ruota. Come se De Canio fosse l’allenatore giusto, con le idee sbagliate.