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Tutto e’ cominciato con la casa di Hargeisa e le sue stanze vuote e polverose di deserto, i divani rossi di gommapiuma dalle forme da mille e una notte, una zanzariera sul letto di legno, appesa al filo della lampadina a incandescenza, giu’ dal soffitto. Il sorriso discreto e solare di Asrat risolveva tutto.
A Panadura ho toccato la gloria simil burgher sulla Old Galle Road in questa casa enorme anni 70 e infestata da scarafaggi. Il quadro di Indika, l’uomo che osserva la luna, enorme e di un blu commovente era bellisismo nella camera monastica. La natura tropicale e fertile cercava la sua via tra le griglie alla finestra.
Wekkada, poco piu’ in la’, invece era il sogno della nuova borghesia suburbana. Una casa da Truman show in un contesto tropicale. I tonfi delle scimmie la notte sul tetto e i komodo che dormivano nei pluviali, la coda lunga che spuntava fuori a tradirne la presenza.
Cambio di scena a Xining, nel condomio cinese sgarrupato e vecchissimo di 5 anni, riscaldamento radiante, la vista sulla triste Wu Yi Lu, la 51th avenue di una capitale di provincia dimenticata e sinizzata senza carattere o distinzione.
Tongde era tutta un’altra storia, Amdo ruspante e caldo con la casa ufficio da veri signori, l’acqua corrente e il bagno alla turca! la stufa a legno, sola in mezzo alla stanza e lenzuola sintetiche sul letto. Per la doccia niente da fare, bagni pubblici nella piazza in mezzo ai biliardi all’aperto. Li’ i cestini della spazzatura erano pieni di calzini e mutande usate degli accorti avventori che approfittavano della pulizia generale per un cambio in toto. Il concetto nomadico del distaccco e del funzionale.
Hanoi ci ha accolto nella tube house fatta su uno scampolo di terra, messa a caso sulla strada sul lato lungo per fortuna, tanta luce, tantissima umidita’, un caldo commovente e sudato, un freddo umido d’inverno. L’efficienza di Tam a tenere i fili dei 4 piani di una casa di bambola.
La casa ufficio di Bat xat era agghiacciante, puro funzionalismo vietnamita con piastrelle fintomarmo, scalini tutti diverse e la Khan svaccata sulle poltrone punitive di legno, custode despota del suo piccolo feudo.
Ulaanbatar la trasandata ci ha accolto nel sogno post comunista della lottizzazione sgarbata e severa che ha piano piano mangiato il parco e la gloria del centro d’arte dei bambini, un palazzo di panna montata e glorie filorusse. Solo il giovane Lenin, sfuggito all’attenzione dei nuovi democratici tiene in mano il suo libro di poesie e custodisce lo scampolo di verde rimasto.
La casa abbarbicata al sesto piano senza ascensore piena dell’abbagliante luce bella invernale ha cresciuto il timo, il basilico, la zucca e noi due.